Orrore (Genova 935)

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III CAPITOLO – Di un padre snaturato e di una “pia donna”

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III CAPITOLO

 

III CAPITOLO

 

(Di un padre snaturato e di una “pia donna”)

 

 

Se avesse avuto voce, Gismunda avrebbe gridato fino a perdere il fiato. Invece si era afflosciata per terra, nel fango, per scoppiare in un pianto silenzioso e disperato. Quando i parenti avevano raggiunto la bottega, prima di scorgere il corpo di Anna e capire, avevano visto la sorella minore gettarsi a terra e rotolarsi nel pantano. Maria, la madre, si era avvicinata a lei di corsa e le si era buttata addosso, per farle scudo dal calcio che il marito stava per assestarle. Ma Consalvo si era già fermato perché prima degli altri aveva visto la rete e aveva riconosciuto il corpo Anna. L’aveva fissata appena un attimo e ci aveva sputato sopra. Soltanto a quel punto si era voltato e, approfittando che la moglie si fosse alzata per capire cosa fosse quel fagotto di abiti e corde bagnate di pioggia e di sangue, aveva dato una pedata a Gismunda e le aveva gridato di alzarsi, che c’era da mettere in ordine la bottega. A quel punto Maria, aveva riconosciuto Anna ed era svenuta. La figlia maggiore e il genero l’avevano soccorsa mentre alcune donne, nel frattempo accorse alle grida dei bambini, avevano preso i piccoli in custodia allontanandoli da quella orribile scena. Alcuni artigiani che avevano lì vicino la propria bottega erano partiti per andare in cattedrale a raccontare tutto al Vescovo anche se, in realtà, non sarebbe stato necessario. Il drappello di uomini diretti a San Siro aveva incontrato nel Canneto Alfonso, scortato da alcuni soldati, che già stava risalendo la via sotto la pioggia che non sembrava destinata a cessare. Era stata Adelaide ad avvertire il prete. Ovviamente non era potuta andare personalmente in cattedrale, così aveva mandato uno dei marinai che, sconvolto, aveva raccontato al monsignore della violenza con la quale la povera ragazza era stata colpita, lo stato in cui l’avevano ripescata e si era anche premurato di dirgli della “P” incisa sulla fronte. Il segretario di Ramperto si chiedeva chi avesse potuto infierire in quel modo su quella povera ragazza. Non il padre, aveva pensato. Quell’orco l’avrebbe semplicemente massacrata a calci e pugni. Probabilmente era stato qualcuno che l’aveva vista entrare nella casa di Adelaide. La lettera “scolpita” sulla pelle non lasciava scampo a dubbi sulla matrice “religiosa” o, quantomeno, moralistica del gesto. Probabilmente Anna era rimasta vittima inconsapevole di qualcuno al quale non piaceva l’attività di “recupero” delle donne avviata dall’ex prostituta. Certamente si trattava di qualcuno che condannava il meretricio e riteneva che non ci potesse essere salvezza per chi ha venduto il proprio corpo: una posizione che avevano diversi sacerdoti, nonostante la chiesa di Roma tollerasse ampiamente l’attività e la giustificava trovando validi gli argomenti negli scritti di Sant’Agostino che la riteneva un male necessario per evitare ben più gravi peccati contro natura e lo sfaldamento delle famiglie nel caso in cui il marito, anziché soddisfare i propri istinti con una donna pubblica, si fosse trovato un’amante. Insomma, la Chiesa era ben lieta di sacrificare l’anima di una donna per salvare quella di molti uomini. Il fatto che la Curia genovese, come quella romana, raccogliesse le decime dall’attività, la diceva lunga sul reale grado di tolleranza. I maligni pensavano che quell’ingiustificabile “ampiezza di vedute” fosse, in realtà, dettata proprio dalla volontà del papato di incamerare i proventi del meretricio.

Alfonso camminava e cercava di organizzare le idee. Pensava anche che potesse trattarsi di un’operazione architettata per colpire il Vescovo attraverso il suo pupillo Gusberto, ormai promesso sposo della sorella di un’adultera che, come voleva testimoniare la “P” ritagliata sulla fronte, era accusata di aver praticato la prostituzione. L’attendente di Ramperto, davanti al povero corpo di Anna, si era stupito della ferocia con la quale l’assassino si era accanito sulla sua vittima. Non poteva pensare che fosse un omicidio su commissione perché il bruto si era accanito sulla vittima con vero odio. Non si trattava dell’opera di un sicario. Le sole coltellate o le sole bastonate sarebbero bastate e avanzate. E invece il killer aveva infierito e aveva anche buttato il cadavere in mare per essere certo che l’acqua gelata concludesse quello che lui aveva iniziato, se mai ce ne fosse stato bisogno. Alfonso aveva fatto raccogliere la rete in cui Anna era stata trasportata lì e l’aveva fatta portare col suo fardello di morte al monastero della cattedrale. Dopo aver dato l’ordine a due guardie di incamminarsi verso San Siro per scortare i pescatori che avrebbero portato il corpo della ragazza, era entrato nella bottega con gli altri tre. Il mercante di pece stava strattonando Gismunda, infastidito dal fatto che questa continuasse a disperarsi. Era già stabilito che per il fidanzamento non ci sarebbe stata alcuna festa. Gusberto non ne aveva nemmeno parlato. Consalvo aveva detto alla moglie, la quale si lamentava per la pessima figura che avrebbero fatto coi vicini, di non avere intenzione di spendere una sola moneta. Ora stava gridando alla figlia che né il fidanzamento né la morte della sorella l’avrebbe salvata dalle botte se non si fosse messa immediatamente a lavorare. Consalvo aveva già alzato un bastone sulla ragazza muta che si era portata le mani al volto per tentare di difendersi e Alfonso aveva fatto appena in tempo a ordinargli di smetterla prima che l’uomo lo abbattesse con violenza sulla testa di Gismunda e rimanesse con la sua clava a mezz’aria. Poi, il mercante aveva mollato a terra il legno per precipitarsi ai piedi del prelato e inchinarsi. <Mi hanno detto che tu troppo spesso batti donne della tua famiglia> aveva tagliato corto Alfonso. <Tutte le figlie che quella disgraziata di mia moglie è riuscita a darmi sono come lei – aveva detto indicando il cadavere – stupide e disobbedienti, mio Signore. Sono tutte come quella sciagurata che è scappata durante la notte per non andare in convento ed è tornata morta stecchita: ha ricevuto la giusta punizione per aver osato disprezzare il dono che la bontà del Vescovo aveva voluto concederle nonostante non lo meritasse. Spero che quanto è successo non muti i nostri accordi economici>. Il mercante si era inginocchiato ai piedi del prete, quindi si era alzato, ma continuava a parlare chinato in segno di sottomissione. Se Alfonso non l’avesse conosciuto prima avrebbe pensato che fosse nato gobbo perché stava piegato come se ci fosse una forza superiore a tenercelo. Di quando in quando, girava la testa in su per guardare il volto del proprio interlocutore e capire se le sue parole ottenevano l’effetto sperato. Pronunciava ogni frase con una voce melliflua e lamentosa e aveva completamente abbandonato il tono di pochi istanti prima, quando stava minacciando Gismunda. Il figlio Martino, nel frattempo, aveva approfittato della distrazione del padre per prendere per mano la sorella, annichilita dal dolore e dalla paura e l’aveva convinta a salire con lui le scale che portavano al piano superiore. La madre e l’altra sorella erano già salite a casa in punta di piedi. <Mi fai un grande onore. Sono felice che tu sia entrato nella mia povera bottega, uomo giusto, mio pastore, onorabile segretario del Vescovo – aveva proseguito Consalvo -. Già che sei qui, approfitto dell’occasione per chiederti quando riprenderanno gli ordini di pece per la Curia>. Alfonso avrebbe voluto dire ai soldati di pestare quell’essere indegno di essere chiamato uomo. Aveva venduto il futuro della figlia più giovane per una commessa per la bottega e non gli importava che l’altra figlia fosse stata massacrata soltanto poche ore prima. Si preoccupava dei suoi affari e di nient’altro. Il prete aveva fatto molta fatica a recuperare la necessaria calma. Aveva respirato profondamente e solo dopo qualche secondo aveva cominciato a parlare. Con il tono rauco di chi non ha abbastanza fiato, nel tentativo di dominare la rabbia, aveva detto al mercante che non era lì per parlare affari, ma per interrogare lui e la sua famiglia in merito all’omicidio di Anna. <Il mio ruolo è quello di assicurare gli assassini di tua figlia alla giustizia> aveva tagliato corto il prete. <A chi vuoi che importi di una scellerata che fugge all’onore di entrare in convento – aveva risposto il mercante -? Non a me, non alla sua famiglia, sulla quale ha gettato il disonore. Importa, forse, alla Chiesa? Certamente avrà incontrato qualche malintenzionato, perché una donna per bene non bazzica il porto di notte e chi lo fa merita di patirne le conseguenze. È al porto che è stata trovata, non è vero? Così hanno detto i marinai. Nessuno di noi la piangerà, nessuno di noi ne reclamerà il cadavere per la sepoltura. Fatene ciò che volete. Noi non la vogliamo perché – e qui simulò l’espressione di chi è sinceramente dispiaciuto – in vita ha arrecato più un torto a Dio, alla Chiesa e anche a noi>. Alfonso aveva definitivamente perso le staffe. Aveva comunque capito che non avrebbe estorto molte notizie vere da quell’uomo e aveva detto, quindi, al mercante di andare pure a fare le sue consegne, ma aveva aggiunto che avrebbe dovuto farlo da solo perché intendeva parlare col resto della famiglia e che tutti gli altri, quindi, sarebbero rimasti a casa quella mattina>. Consalvo si era spostato in fretta verso le scale e aveva cominciato a salirle due a due, dicendo che avrebbe chiamato tutti perché scendessero in bottega. In realtà aveva intenzione di minacciare i familiari perché non parlassero delle botte e della questione dell’aborto. Ma Alfonso lo aveva capito e gli aveva gridato di scendere e andarsene, prima che lo facesse arrestare. <Salirò io in casa tua – aveva detto -. Sappi che penso possa essere proprio tu il responsabile e non ti lascerò parlare coi tuoi familiari prima di me. Vai a fare le tue consegne. Due delle guardie ti scorteranno perché tu non ti faccia venire in testa l’idea di scappare>. Lo aveva detto solo per spaventare un po’ quell’uomo violento, gretto e arido. Non pensava veramente che avesse ucciso la figlia. Non perché non ne fosse capace. Forse l’avrebbe fatto se l’avesse scoperta mentre lasciava la casa, ma certamente, in quel caso, avrebbe agito subito e non l’avrebbe seguita fino al porto. In fondo, che differenza avrebbe fatto se, invece che farsi suora, fosse scappata senza più fare ritorno? Sarebbe andato qualche tempo dopo a denunciarne la scomparsa e poi la morte presunta. Così Anna sarebbe stata cancellata anche dall’asse ereditario. No, certamente non era stato il padre a ridurre in quel modo la ragazza, ma Alfonso voleva farlo morire di paura, almeno per un po’. Aveva dato ordine alle guardie di trascinarlo fuori dalla bottega e mentre una lo tirava per i vestiti e l’altra lo spingeva con la punta della spada il sacerdote aveva salito le scale. Aveva sentito i gradini scricchiolare sotto il suo peso. Quando era sbucato al piano superiore, aveva trovato una sola stanza dove erano sistemati il fuoco, che aveva annerito tutta la camera, un tavolo e diversi giacigli gettati per terra. Su uno di questi era stesa Gismunda, che piangeva, come sempre, in silenzio. Maria e la figlia maggiore erano sedute su sgabelli, una di fronte all’altra. La ragazza più grande stava pregando la madre di scappare, di andare a vivere con lei, il marito e i figli. Diceva che quando Gismunda si fosse sposata più nulla l’avrebbe tenuta in quella casa, che niente la legava a quel posto dove aveva vissuto il dolore della morte di quattro figlie. Niente la legava più al marito, padre degenere, pessimo compagno, padrone crudele. Anche Martino era della stessa opinione. A lui non sarebbe accaduto nulla di male. Il padre aveva desiderato a lungo “l’erede maschio”, nato settimo dopo sei femmine. Consalvo non gli aveva mai fatto niente di male, mai lo aveva battuto, lo trattava sempre con affetto tanto che quando parlava con lui sembrava quasi un’altra persona. Spesso Martino, per ordine del padre, riceveva più cibo delle sorelle, ma il giovinetto lo passava sotto il tavolo alle più affamate. Era un bravo ragazzo e di Consalvo, per sua fortuna, non aveva ereditato né il fisico né il carattere. Quando Alfonso era spuntato dalla scala, nella stanza era calato il silenzio. Nessuno si era accorto di lui fino a quando non aveva salito l’ultimo gradino. Così, non visto, aveva potuto ascoltare, osservare mentre emergeva nella stanza dal magazzino. Poi, d’improvviso, era come se il tempo si fosse fermato. L’intera famiglia si era girata verso di lui e le donne stavano fissando negli occhi mentre il ragazzo si era alzato in piedi come per difendere la madre e le sorelle per poi fare un passo indietro ed inchinarsi quando aveva capito che chi era entrato era il prete e non il padre. Lo sguardo di Maria sembrava chiedere <perché?>. Gismunda, la sorella maggiore e Martino erano spaventati. Alfonso aveva immediatamente cercato di rassicurarli. <Non dovete aver paura di me – aveva detto -. Volete, non è vero, che io trovi l’assassino di Anna? Allora dovete aiutarmi>. Il prete aveva trovato una sedia con una gamba più corta e si era accomodato stando ben attento a non cadere. <Chi può aver odiato Anna a tal punto da massacrarla?> chiese. <Solo nostro padre> aveva detto la sorella maggiore con rabbia, ma la madre aveva subito assicurato che il marito non si era alzato dal giaciglio per tutta la notte. <Anna mi aveva detto che sarebbe scappata – aveva spiegato Maria -. Per questo io, dopo aver cercato senza successo di dissuaderla, non ho chiuso occhio. Ero spaventata, ma non me la sentita di fermarla o, peggio, di denunciare le sue intenzioni a mio marito. Così, nell’oscurità, l’ho intravista alzarsi. Poi la sua ombra è scomparsa, inghiottita dalle scale, mentre Consalvo russava forte>. Alfonso non era riuscito a trovare in quello che aveva sentito una sola parola che gli potesse servire a capire chi potesse aver ucciso la ragazza in un modo così violento. Una modalità, si ripeteva, che presuppone rabbia, odio, risentimento. Il segretario del Vescovo aveva pensato che era inutile continuare l’interrogatorio e aveva offerto alla madre e al fratello della povera Anna l’opportunità di fuggire subito dopo il matrimonio di Gismunda. La sorella maggiore li aveva pregati di accettare e dopo molte insistenze così era stato. Ad Alfonso non era rimasto che tornare al convento. Doveva inviare un messaggio ad Adelaide. Lei poteva forse fornigli qualche particolare in più sui momenti successivi all’aggressore. Arrivato davanti alla cattedrale, sulla piazza, trovò Gusberto che parlava a bassa voce con Ronalda, una “pia donna”, di quelle che stavano più in chiesa di quanto rimanessero nella propria casa. In realtà, una donnicciola sempre pronta a dire male degli altri, agilissima nel prostrarsi davanti al Vescovo, nell’eterno tentativo di strappargli qualche concessione per i propri affari. Gestiva con la sorella un pezzo di terra che i suoi genitori, ancora vivi, ma ormai molto anziani, avevano ricevuto appena giunti in città dall’allora vescovo che, come la coppia, proveniva da Vintimilia. Al servizio della famiglia c’erano diversi servi ai quali venivano distribuite più nerbate che cibo. Perché Ronalda s’era comprata chi faceva tutto al suo posto e non si sporcava le mani. Se le imbrattava di terra, così come gli abiti, quando doveva comparire in cattedrale per i vespri, ai quali arrivava trafelata come se avesse appena finito di zappare la terra, con l’anticipo sufficiente per fare qualche pettegolezzo sul sagrato. È vero, i suoi vestiti erano poveri e lisi, ma solo perché era troppo tirchia per comprarne di nuovi e non per vera indigenza. Piangendo e lamentandosi dei propri acciacchi e dell’eternamente precario stato di salute dei suoi vecchi, otteneva da tutti favori e concessioni elargiti più spesso per farla smettere di snocciolare lamentele che perché li meritasse. In chiesa rispondeva a tono alto alle invocazioni del sacerdote, dimostrando di sapere perfettamente a memoria i vespri, le lodi e qualsiasi altra celebrazione cristiana e ovviamente, finita la funzione, appena tutti erano usciti sul sagrato, criticava aspramente chi aveva sbagliato un salmo, non aveva scandito bene le parole oppure si era addirittura addormentato in chiesa dopo una giornata di duro lavoro nei campi. Diceva di non essersi sposata perché era devota a Cristo. E a chi le chiedeva perché avesse fatto questa scelta e non avesse preso, invece, i voti, rispondeva che era solo perché la sua famiglia non poteva fare a meno di lei. Aggiungeva che era stato un pesante sacrificio non entrare in convento come desiderava e che offriva al Signore questa privazione come dono perché Lui comprendesse appieno il suo amore e la sua devozione. In realtà Alfonso era venuto a sapere che un fidanzato Ronalda l’aveva avuto. Pover’uomo. Era il figlio di un mercante al quale i genitori di Ronalda avevano prestato del denaro a usura, nonostante la religione cristiana lo vietasse. Le navi con la merce che il commerciante aveva comperato con i soldi chiesti in prestito erano colate a picco durante una tempesta. Così il mercante, così come la moglie e il figlio, era diventato servo della famiglia con la quale aveva contratto il debito che non era in grado di pagare. Il giovane era un bel ragazzo e Ronalda gli aveva subito messo gli occhi addosso. Lui per un po’ aveva abbozzato perché la madre era malata e aveva bisogno di cure che né lui né il padre potevano pagare. Era stato costretto a chiedere a lei di saldare i conti del farmacista. Ronalda lo ricattava continuamente, lo minacciava di non dargli nemmeno un piatto di minestra se non avesse lavorato dal mattino alla sera nei campi, lo insultava davanti a tutti e lo sottoponeva a vessazioni di ogni tipo rinfacciandogli tutto quello che faceva per lui. Quando la megera gli aveva chiesto di stabilire la data delle nozze, lui non se l’era sentita di condannarsi a una vita di tormenti coniugali e aveva pensato che sarebbero stati più che sufficienti quelli che Ronalda che riusciva ad infliggergli come sua padrona. Lei, allora, per rappresaglia, aveva smesso di pagare le medicine. La madre del giovane senza le cure di cui necessitava non era durata che poche settimane. Il padre era morto di crepacuore subito dopo e il ragazzo si era ucciso col veleno non appena aveva sepolto entrambi. Ronalda non aveva mai più trovato un marito perché era brutta e sciatta, collerica e prepotente. Non aveva alcuna intenzione di andare in convento per obbedire a una badessa e sottostare alle rigide regole e agli orari di preghiera. Si era, allora, inventata il ruolo della “pia donna”, devota e casta, tanto affezionata alla famiglia da non essere in grado di lasciarla. E di questa cosa si vantava come se la castità subìta e non scelta fosse una virtù. Solitamente caracollava col suo passo sgraziato, buttando i piedi in fuori, con la pancia sporta in avanti e la fronte alta di chi non conosce la modestia. Poi, arrivata vicino alla cattedrale, si curvava, rallentava l’andatura, iniziava ad ansimare come se per raggiungere la chiesa avesse dovuto scalare chissà quale montagna. Si confessava ogni giorno. Era una scusa per riferire ai sacerdoti non i propri peccati, ma quelli altrui: dicerie, voci, maldicenze di ogni genere, qualche volta fatti reali un po’ esagerati e infarciti di malignità, più spesso veri e propri parti della sua fantasia cupa e maligna. Sulle prime Alfonso le aveva creduto. Poi aveva cominciato a dubitare. Un giorno Ronalda aveva denunciato il vicino di casa, rimasto orfano molto giovane e costretto a badare alla fattoria dei genitori senza esserne in grado. Diceva che era un sodomita e che nella sua casa si svolgevano ogni sera chissà quali festini demoniaci. Il caso aveva voluto che quella volta a “confessarla” fosse stato proprio Alfonso. E lui, prima di prendere provvedimenti, aveva voluto vederci chiaro. Aveva scoperto, così, che il ragazzo, poco più che un bambino, stava tentando tra mille difficoltà di tirare avanti con l’aiuto del fattore del padre, un uomo ormai anziano che l’accudiva come un figlio. Il loro unico rapporto era di affetto reciproco. Il prete, parlando con l’anziano contadino, aveva saputo anche delle angherie della vicina, dei suoi dispetti continui. Una sera, nascondendosi nella casa del giovane, l’aveva vista lui stesso entrare nei campi di proprietà del ragazzo e con la zappa devastare il raccolto nell’orto e gli alberi da frutta. Ne aveva parlato al Vescovo e, sebbene non fosse riuscito ad ottenere che a Ronalda fosse inflitta alcuna punizione, giacché era ancora protetta da parenti influenti e dal nuovo vescovo di Vintimilia, aveva potuto proporre al ragazzo, in cambio della sua terra, un appezzamento migliore lontano dall’arpia. Non appena il ragazzo, i suoi contadini e i suoi servi avevano lasciato la vecchia casa, caricando le proprie cose su carri trainati da buoi che tutto il vicinato salvo la “pia donna” gli aveva imprestato, Ronalda si era precipitata in cattedrale. Quando era arrivata aveva le guance più rubizze del solito. La zazzera di capelli unti, tagliati alla foggia maschile, grigio-giallognoli per via degli impacchi di camomilla coi quali tentava di ringiovanirsi, era tutta scarmigliata. Quella volta ansimava sul serio la “pia donna” perché aveva corso davvero per arrivare in fretta alla cattedrale. Cosa voleva? Era ovvio!, disse. Ringraziava il Signore per aver allontanato i peccatori dalla sua dimora e chiedeva l’assegnazione della terra ormai abbandonata. Alfonso aveva già previsto tutto. Aveva pensato sin dal primo momento che le cattiverie che Ronalda aveva fatto al vicino fossero un sistema per impadronirsi dei suoi spazi. Per questo aveva consigliato al Vescovo di assegnare la casa, la vigna e i campi ormai liberi a un facoltoso proprietario che confinava anche lui col giovane vicino di Ronalda e il ricco agricoltore aveva promesso, in cambio, di contribuire in modo sostanzioso alla costruzione della nuova cattedrale. Al suo servizio c’erano molti contadini e diverse decine di servi. Lui avrebbe saputo come rispondere alle angherie della megera. Anzi, era stato proprio Alfonso a consigliargli di presidiare il confine e di difenderlo anche la notte con uomini armati di bastoni. Così, quando Ronalda era giunta alla messa domenicale con un occhio nero e le labbra gonfie, camminando davvero a fatica, non aveva potuto trattenere un sorriso. Se ne era poi pentito e l’aveva detto in confessione al vescovo, ma Ramperto non gli aveva inflitto alcuna punizione per espiare quella colpa. La donna, aveva detto il Vescovo, aveva ottenuto ciò che meritava e che si era cercata. Alfonso non fu sollevato tanto dall’assoluzione ricevuta, quanto per la certezza che il suo superiore avesse ben inquadrato quella donnetta piccola d’animo. Vederla ora parlottare con Gusberto, certamente un po’ più colto, ma fatto della stessa pasta della donna, lo spaventava. Chissà cosa sarebbe uscito da quel confrontarsi di cervelli malati, superstiziosi e cattivi per natura. Lo aveva scoperto immediatamente perché appena Ronalda si era accomiatata banciando la mano di Gusberto come se fosse stata quella di un vescovo (e anche la sua, imbrattandola di schifosa saliva), il giovane aspirante prete gli aveva detto che era inconcepibile seppellire il cadavere di Anna in terra consacrata. Alfonso stava ancora pulendosi il dorso della mano dalla bava della “pia donna” strofinandola sul mantello fradicio, quando il ragazzo aveva aggiunto che una sepoltura in terra consacrata sarebbe stata di cattivo esempio e che il popolo avrebbe detto che il grave peccato di Anna era stato perdonato solo perché era la sorella della sua futura moglie. Il prete si era distratto un attimo a pensare che avrebbe voluto pulire l’intera comunità della cattedrale dal fango gettato da Ronalda come ripuliva la sua mano dalla saliva e che avrebbe voluto dire quello che pensava di lei dall’altare, magari durante la messa, esortando gli altro fedeli a emarginarla. Purtroppo, come gli aveva spiegato Ramperto quando gli aveva chiesto di processarla per le angherie al vicino, non era possibile denunciare pubblicamente le cattive azioni di Ronalda. Almeno per il momento, almeno fino a quando la “pia donna” manteneva parentele e amicizie in alto loco. Era, dunque, meglio usare il tempo e le proprie risorse per fare qualcosa di più utile e concreto. Doveva affrontare il Vescovo prima che gli parlasse Gusberto. Perché Ramperto era un uomo ragionevole e un buon pastore. Quel ragazzino, tuttavia, spesso, riusciva a convincerlo a fare o dire cose che non appartenevano alla sua natura. Alfonso era entrato a passo spedito nel convento. Avrebbe voluto scrivere un biglietto ad Adelaide e affidarlo al suo servitore più fidato perché senza farsi scorgere lo consegnasse al mercato a uno dei servi della donna, ma, al momento, parlare col vescovo era più urgente. Era entrato nella stanza del suo superiore dopo aver bussato e aver ricevuto il permesso. Aveva raccontato la storia di Anna, il tentativo di salvarla grazie ad Adelaide. Il Vescovo sapeva del casto, seppur insolito, rapporto tra il suo segretario e la meretrice, anche se non ne conosceva i particolari. Aveva raccontato le condizioni in cui il corpo della giovane era stato trovato. Infine Alfonso gli aveva esposto il problema e, come di consueto faceva, aveva proposto la soluzione: la sepoltura “anonima” quella stessa notte, nel cimitero vicino alla cattedrale e l’inumazione ufficiale di un fagotto in terra sconsacrata. Aveva concluso, stupendosene egli stesso, non con una frase della Bibbia o dei Vangeli, ma citando Socrate: <Nulla può far danno a un uomo buono, né in vita né dopo la morte”, ma questa sepoltura serve, più che alla ragazza, a sua madre e alle sue sorelle che restano qui ad affrontare la vita>, aveva detto. Ramperto aveva commentato che, come sempre, l’idea proposta dal suo attendente era saggia ed equa e aveva dato il suo assenso alla doppia sepoltura proprio un secondo prima che Gusberto facesse irruzione nella stanza, anche quella volta senza bussare. Nonostante la scortesia del ragazzo, il Vescovo lo aveva comunque ben accolto, gli aveva detto di conoscere già la ragione della sua ansia grazie alla relazione di Alfonso e che era già stato stabilito che Anna sarebbe stata sepolta l’indomani in terra sconsacrata. Gusberto sembrava dispiaciuto. Probabilmente sperava di ingaggiare una rissa verbale col prete. E invece era stata costretto a riconoscerne la scaltrezza: lo aveva preceduto prendendosi il merito per il consiglio che gli avevano fatto credere che avesse dato. Era uscito ancora più cupo di quanto fosse entrato. Quando era andato via, il vescovo aveva confessato al suo attendente che non sapeva cosa avesse sbagliato con quel ragazzo e che iniziava ad avere l’impressione di aver creato un mostro. Ad Alfonso non era restato che rincuorarlo suggerendo che con l’età Gusberto avrebbe certamente messo a frutto i buoni insegnamenti che aveva ricevuto. Non lo pensava, ma lo aveva detto comunque a Ramperto perché gli faceva tenerezza, proprio come Carlo. Quel ragazzino devastava psicologicamente chiunque gli stesse vicino e gli volesse bene. Era davvero incredibile che il saggio vescovo fosse costretto fare qualcosa all’insaputa del suo pupillo. Alfonso ci aveva riflettuto sopra un attimo: quella sudditanza psicologica di Ramperto era preoccupante. Se ne era, poi, andato scuotendo la testa. Doveva scrivere il biglietto con cui intendeva dare appuntamento ad Adelaide. Lo aveva compilato velocemente e lo aveva affidato al suo servo più discreto che si era precipitato al mercato di San Giorgio dove si trovava certamente uno dei servitori della donna. L’uomo di Alfonso, però, era arrivato troppo tardi, quando la maggior parte dei venditori aveva già lasciato la piazza e di clienti non ce n’erano più. Quell’attesa forzata snervava il prete. Dopo aver preparato la sepoltura clandestina e il fagotto per la falsa inumazione dell’indomani, si era lavato accuratamente: una pratica che gli serviva non solo per cancellare il sangue e l’odore della morte, ma soprattutto per ripulirsi i pensieri, cancellare le sovrastrutture mentali, dissolvere le nebbie che gli oscuravano la ragione. La sua mente si muoveva faticosamente nella foschia e non percepiva nemmeno un bagliore che potesse condurlo all’assassino della ragazza. Aveva tentato, quindi, di rilassarsi seduto alla scrivania. Aveva provato a leggere, ma non riusciva a concentrarsi. A ogni frase terminata doveva ricominciarla da capo. Allora aveva pensato che uscire un po’ gli avrebbe fatto bene. Aveva poco tempo prima che cominciassero i vespri e doveva ancora avvertire la madre di Anna della falsa sepoltura. Aveva raggiunto la casa sul colle con ampie falcate. Per fortuna aveva smesso di piovere e affrettando il passo aveva impiegato pochi minuti a raggiungere l’abitazione. Aveva rassicurato la donna che sua figlia sarebbe stata inumata in terra consacrata ed era tornato a San Siro dove doveva officiare i vespri. E lì aveva appreso di un altro brutale omicidio. Di nuovo il senso di orrore si era impadronito di lui, gli aveva tolto il respiro e si era trasformato, poi, in terrore. Chissà dove voleva arrivare l’assassino. Chissà quanta gente avrebbe ammazzato prima di riuscire a fermarlo!

 

©Monica Di Carlo. Tutti i diritti riservati. Vietati la riproduzione anche parziale del testo e qualsiasi uso non autorizzato dall’autore